Ritratti: Marco Giannoni

Faccia a faccia (o sarebbe meglio dire Corpo a Corpo) con il giovane compositore italiano.

Un lungo e insolito incontro, sopra le righe, a volte spiazzante, ma incredibilmente ricco di stimoli e idee.

di Clara Vittori

(2009)

Incontro Marco Giannoni in un bar di Roma, città dove si muove e lavora. La nostra intervista comincia dopo circa un’ora di conversazione che ho il rammarico di non aver registrato; se la memoria mi assisterà tenterò di inserirne alcuni stralci nello scritto che segue.

Marco Giannoni - che non conoscevo - è un personaggio singolare: dai modi eleganti, magro, pallido, con una vaga cupezza, potrebbe ricordarci il giovane Liszt. Eppure non è l’artista tormentato che sembra al primo sguardo: lui dimostra d’essere completamente a suo agio nel proprio mondo creativo, o seduto con me al tavolo parlando di come si senta immerso nelle idee; a ferirlo – mi dice – è semmai il mondo, quell’agglomerato di strutture (sociali, economiche, politiche, mediatiche, ecc.) che ci rende, usando le sue stesse parole, «…dei moderni San Sebastiano che, legati al palo, offrono più o meno consapevolmente le proprie carni e la propria nudità ai dardi provenienti da mille direzioni».

Ha da farmi una premessa indispensabile – mi dice – prima di cominciare:

«Io non credo nelle parole…»

…e come mai non si fida delle parole?

Non ho detto che non mi fido, ho detto che non credo loro, è una cosa ben diversa: è come credere o non credere nei fantasmi, o in Dio… ecco: direi che non ho fede nelle parole, non ho la fede necessaria, credo che non abbiano potere…

Quale potere?

Il potere di dire, di nominare le cose… «verba volant»… magari! …magari le parole potessero volare… il più delle volte, appena uscite dalla bocca, precipitano a terra; si può tentare di coglierne il significato prima che vadano in frantumi sul pavimento… poi ognuno raccoglie i cocci e li incolla come può, o come vuole… Ed allora, piuttosto che trovarmi di fronte a molteplici significati che si ha la pretesa di rendere oggettivi, preferisco rinunciarvi del tutto e occuparmi di qualcosa di asemantico.

…la musica appunto. Che pensa lei della musica?

…che in fin dei conti non è così importante, e che mi riguarda soltanto marginalmente; è soprattutto un caso il fatto che mi esprima con essa. Se avessi avuto abilità pittoriche, o più semplicemente avessi incontrato prima la pittura che la musica, forse ora sarei un pittore e le mie idee avrebbero un corpo diverso. Ma quello che so fare è mettere insieme suoni e me ne servo per modellare le mie idee. Non bisogna confondere la techne con l’opera: ciò che conta è l’atto creativo, il resto è un mezzo, più o meno efficace. 

Analizzando, seppur sommariamente, il suo percorso artistico si rimane colpiti dalla molteplicità e, mi passi il termine, dal disordine delle sue esperienze; c’è dentro un po’ di tutto: musica strumentale, vocale, concreta, elettronica, per immagini, per teatro e per la danza… e ora perfino una musica nata dal corpo! …cosa c’è dietro questa frenesia creativa?

Mi fanno questa domanda tutte le volte… e devo rispondere sempre allo stesso modo: c’è la curiosità e l’esigenza di creare. Tutto qua.

…e considerata la sua giovane età, cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro?

…magari lo sapessi… ho diverse idee che stanno decantando da qualche parte… per ora posso dirle di sentire che il discorso attorno al corpo è tutt’altro che esaurito…

Cos’ha in mente?

Penso ad un oratorio – del tutto laico, ovviamente (!) – in cui il corpo è chiamato da un lato a mostrare la propria vulnerabilità nei confronti della vita, in ogni suo aspetto, e dall’altro a cercare salvezza o quantomeno conforto nell’incontro con altri strumenti, stavolta strumenti musicali propriamente detti; lo immagino come una sorta di moderno martirio di San Sebastiano.

…quindi avrà di nuovo bisogno di un corpo…

…sì, dovrò di nuovo usare una modella o una danzatrice…

…e Marco Giannoni che rapporto ha con il suo corpo?

…purtroppo non lo curo quanto vorrei, anzi, diciamo che francamente lo trascuro…

La strana sensazione che ho è che il corpo di Marco Giannoni sia sempre un passo indietro rispetto alla sua mente, le uniche parti che tradiscono d’essere in perfetta sintonia con essa sono i suoi occhi vivissimi e penetranti e le grandi mani da musicista, che con il loro perenne movimento sembrano aiutarlo a “plasmare” il discorso. Quando la bocca si concede un sorriso – come rivolto alla ragazza che ci serve il vino bianco già ordinato – si ha la sensazione d’essere di fronte ad una persona cordiale ma che sente il bisogno di proteggersi, o forse addirittura sottrarsi, alla banalità della vita comune.

Com’è collaborare con lei?

…non so: dovrebbe chiederlo ad altri…

…glielo chiedo perché ho l’impressione che non sia facile lavorare con lei… Vuole parlarmi della sua ultima collaborazione?

…le mie collaborazioni sono innanzitutto rare. L’ultima in ordine di tempo è legata alla danza ed è quella con la coreografa Loredana Parrella e la compagnia Cie Twain. Abbiamo già realizzato assieme due spettacoli (Volevo un gatto nero. Felicità clandestine e Corpo a Corpo ndr) e abbiamo altre cose in cantiere; potrei dire che è stato un onore collaborare con lei, che è stato bello e proficuo o altre frasi fatte da intervista di seconda mano, qualcosa politically correct che vada bene per ogni occasione e per qualsiasi sodalizio artistico, in realtà trovo questo buonismo di facciata piuttosto noioso e se dovessi definire la nostra collaborazione con un solo aggettivo sarebbe: inevitabile.

…perché inevitabile?

…non so il perché ma è così, forse lo scopriremo con il tempo, o forse no; non è importante saperlo, è bene concedersi un po’ di sano mistero ogni tanto.

Nonostante le sue dichiarazioni Marco Giannoni ha accumulato numerosissime collaborazioni, scrivendo per diversi ensemble, realizzando colonne sonore e musiche di scena per il teatro oltre che per la danza.

Mi sono presa la briga di analizzare tutte le partiture e gli spartiti dei suoi brani che sono riuscita a trovare…

…lei sa leggere la musica?

…sì, mi sono diplomata in pianoforte molti anni fa… Le dicevo: analizzando i suoi brani sono rimasta colpita dalla esiguità di note (mi passi l’espressione); che rapporto c’è tra il suo modo di comporre ed il minimalismo?

…se intende il minimalismo “storico” o “storicizzato” direi nessuna. La mia musica è essenziale per una mia intima esigenza. Bisogna tirar fuori dalla molteplicità dei suoni possibili solo quelli necessari all’espressione della propria idea; il mio atto creativo tende sempre ad essere un processo sottrattivo al termine del quale ottengo un risultato «…per via del togliere», come uno scultore.

…ed è generalmente soddisfatto del risultato ottenuto?

…se non lo fossi il pezzo non uscirebbe da casa mia. Ciò non toglie che a volte ci si debba arrendere di fronte alla constatazione che la perfetta aderenza alla propria idea non esiste, tuttavia ciò a cui si giunge deve essere il miglior compromesso possibile… dopotutto il brano non è l’opera…

…ovvero?

…la vera opera è l’idea …o forse è l’autore ma in nessun caso l’opera è l’esecuzione, meno che mai lo spartito dove tutto trova posto «…tranne l’essenziale» (Gustav Mahler ndr). È il vero dramma in musica: vivere solo di parvenze…

Nei suoi discorsi sento echi provenienti dagli ambiti più diversi: arte, filosofia…ma quasi mai musica, perché?

Devo ripetermi: perché la musica non è così importante, contano le idee… Sono convinto che un musicista non può essere monotematico (come spesso accade purtroppo). L’occuparsi esclusivamente della musica il più delle volte fa di lui una scimmia ammaestrata; c’è invece bisogno di abbassare le difese e lasciarsi percorrere da altro…

…e quali sono le letture o gli ascolti che l’hanno più influenzata?

…non lascio mai che un ascolto mi influenzi, tengo generalmente la guardia molto alta e mi sottopongo a lunghi digiuni sonori nei periodi in cui compongo, proprio per evitare che inconsciamente qualcosa di ciò che sento finisca per viziare le mie idee. Tranne la musica altrui tutto può influenzarmi: una lettura, un concetto, una domanda, un odore o semplicemente l’architettura di un palazzo, un riflesso di luce, le gocce di pioggia sul parabrezza, una sensazione fugace.

…e se potesse portare con sé su un isola deserta l’opera di un solo compositore cosa sceglierebbe?

Senza dubbio Bach (Johann Sebastian ndr), potrei tranquillamente vivere soltanto di quello …e inoltre il catalogo delle sue opere è talmente corposo da poter riempire il resto dei miei giorni… in Bach trovo tutto.

…quindi si può essere degli agguerriti sperimentatori come lei ed amare così tanto l’antico…

Non è detto che i miei lavori siano tutti così sperimentali o intellettuali, né tanto meno che l’opera di Bach sia da considerare superata; in fin dei conti la vera musica non ha età ...né patria.