A colloquio con Marco Giannoni
di Marco Del Vaglio
(2008)
Gentile Maestro, dal suo curriculum traspare, a fronte di una formazione sostanzialmente classica, un continuo approfondimento che tocca altri generi, talora molto distanti tra loro, a cosa si deve questo ampio ventaglio di interessi musicali: irrequietezza, curiosità, costante voglia di apprendere o senso di insoddisfazione?
Direi che i miei molteplici interessi musicali sono come rami di un unico albero le cui radici potrebbero chiamarsi irrequietezza, curiosità, costante voglia di apprendere… ma non senso di insoddisfazione. Comunque generalmente è la curiosità a muovermi. Inoltre ho sempre creduto che la musica sia “una”, al di là di inutili settarismi di genere, definizioni vuote e sterili, tentativi di rinchiudere composizioni dentro anguste camere stagne; come potremmo catalogare lavori come le Folksongs di Berio o Hot di Donatoni? Come trovare un “genere” per Stockhausen o Piazzolla che non vada loro troppo stretto? Semmai la distinzione dovrebbe essere fatta tra musica e non-musica o almeno tra buona musica e cattiva musica, ma si aprirebbero insormontabili problemi di carattere estetico...
Sempre riguardo alla sua vasta esperienza, pensa che la minore professionalità che molti attribuiscono al settore della musica leggera corrisponda a realtà o sia soltanto un luogo comune?
La mia risposta è riconducibile a quanto ho appena detto circa l’unicità della musica: ciò che fa la differenza è, secondo me, la qualità della musica stessa e, a onor del vero, c’è da segnalare che spessissimo la qualità della cosiddetta musica leggera è terribilmente bassa e che in tali contesti è ravvisabile un livello generale di pressappochismo difficilmente riscontrabile nel mondo della musica classica, dove interpreti e compositori hanno, nella stragrande maggioranza dei casi, almeno una formazione accademica pluriennale che garantisce - o dovrebbe garantire - standard medio - alti.
Lei ha scritto numerose ed apprezzate colonne sonore per cortometraggi e mediometraggi. In questi casi qual è il suo modo di procedere e di relazionarsi con il regista e con le immagini?
Dipende tutto dal regista e dal feeling che si instaura tra noi: alcuni registi appartengono alla categoria dei “ compositori mancati ” e pretendono di suggerire (o imporre) quali strumenti usare, in quali punti, addirittura accennandoti dei motivetti… Con loro, è ovvio, non si lavora bene. I registi intelligenti ti sottopongono la sceneggiatura, magari annotando dove vorrebbero un commento musicale, poi lasciano a te tutto il resto. Io preferisco lavorare in questo modo, con la massima libertà, ed avere il girato poco alla volta, man mano che le riprese ed il montaggio proseguono, in modo da poter instaurare in itinere un costruttivo e fertile rapporto con il regista. È ovvio che gli aggiustamenti definitivi andranno fatti una volta che il montaggio sarà terminato, ma a quel punto il più è fatto.
Proseguendo con questo argomento, nel comporre musiche da film, si limita al commento sonoro o pensa a creare qualcosa che possa avere una vita propria al di fuori della stretta realtà cinematografica?
La musica è musica, non mi stancherò mai di dirlo. Si può prendere la maggior parte delle composizioni per immagini di Prokofiev e Miklos Rozsa, di Coulais o Morricone ed ascoltarsele come qualsiasi altro disco, ci si accorgerà che sono fruibilissime. Questo non accade con la maggioranza degli altri compositori: quando vengono private delle immagini le loro musiche dimostrano una congenita pochezza e banalità. La musica è un’arte nuda, è il linguaggio più libero che esista, e anche quando corre in soccorso dell’immagine deve mantenere una sua autonomia, deve essere autarchica, compiuta in se stessa e funzionale su qualunque strumento, come accade per la musica di J. S. Bach.
Due anni fa l’esecuzione del suo Stabat Mater ha ottenuto vasti consensi ed apprezzamenti. Quali sono, in generale, i suoi rapporti con la musica sacra e perché ha scelto proprio questa sequenza di grande tragicità?
Provo per la musica sacra quel misto di fascinazione e rispetto che ogni musicista dovrebbe avere; pagine come quelle di Palestrina o Gesualdo da Venosa sono tappe imprescindibili della musica occidentale e riecheggiano fino ai nostri giorni con una forza inusitata. La mia esperienza come direttore di una Schola Cantorum è stata un’ottima palestra per affinare la capacità di comporre per la voce, strumento sofisticato e fragile, capace di suscitare emozioni come nessun altro strumento, potente eppure delicatissimo. Lo Stabat Mater nasce grazie a questo bagaglio e a seguito di un grave lutto che mi colpì nel 2005 ma non aggiungerei altro… vorrei che fosse vissuto ed ascoltato come una qualsiasi delle mie composizioni.
Recentemente si è occupato anche di musica concreta, ci può spiegare di che si tratta?
Direi che si tratta di capire che prima ancora delle note viene il suono, il suono innanzitutto. Storicamente la musica concreta nasce nel secondo dopoguerra ad opera del francese Schaeffer, grazie alle nuove possibilità di registrare, modificare e montare i suoni; da tali opportunità prenderà vita anche la musica elettronica. A differenza di quest’ultima la musica concreta non utilizza suoni puri, di sintesi, ma si limita a catturare suoni della realtà, rumori, e a rimaneggiarli. Personalmente farei però risalire le origini della musica concreta all’attività di sperimentazione del musicista e pittore futurista Luigi Russolo, l’inventore della macchina intona-rumori, dell’arco enarmonico e del rumorarmonio: nel suo Manifesto del 1913 teorizzò una musica basata non più su suoni determinati bensì sull’organizzazione dei cosiddetti “rumori”, anticipando di alcuni decenni le tematiche fondanti ed i principi generali dell’estetica musicale “concreta”. Per tornare alla mia attività: nel 2005 ho realizzato un ciclo dal titolo Materie composto da tracce in ognuna delle quali ho impiegato un singolo materiale: terra, acqua, metallo, carta, plastica, legno, corpo. Doveva essere un semplice studio, una ricerca privata, un’indagine personalissima sulle possibilità sonore di tali elementi, invece ha finito per essere uno dei miei lavori più apprezzati e richiesti, e mi ha aperto la strada verso nuovi importanti lavori, condizionando pesantemente la mia fase attuale poiché per me, ora, il suono viene prima di ogni altra cosa, prima delle stesse note.
Fra le numerose attività che porta avanti c’è anche quella di docente. Cosa ci può dire del rapporto che le giovani generazioni hanno con la musica, sia classica che leggera?
Questa è senz’altro la sua domanda più difficile… tenterò comunque di dare una risposta: i giovani, e non solo, sono il frutto nella nazione che li ha cresciuti, un paese in cui la scuola non riesce ad educare alla musica e dove i mass media si adeguano alla massa abbassando i propri standard culturali. Riflettiamo: perché mai un adolescente oggi dovrebbe conoscere e comprendere L’arte della fuga di Bach o la Sinfonia n°40 di Mozart? ...figuriamoci poi i lavori di Nono, Ligeti, Xenakis... Inoltre la tecnologia digitale negli ultimi anni ha scardinato il mondo della musica, ad ogni livello, e presto si aprirà una nuova era in cui saremo costretti a ripensare radicalmente le modalità di produzione, realizzazione e fruizione della musica. Bisognerebbe avere un solido sistema musicale per poter gestire i prossimi frutti di tale rivoluzione ma credo che, allo stato attuale delle cose, l’Italia ne conoscerà soltanto gli aspetti negativi, come la crisi del settore discografico e delle istituzioni musicali.
Quali consigli si sente di poter dare a tutti quei ragazzi che vogliono intraprendere la carriera nel settore musicale?
Sperimentare voracemente e viaggiare il più possibile, conoscere le splendide realtà musicali europee e non solo. Direi che oggi più che mai un musicista italiano, per evitare di gettare al vento tutti gli investimenti - in termini di tempo e di denaro - fatti sulla propria formazione, deve essere pronto alla mobilità, a sentirsi cittadino del mondo e a non precludersi nulla. Detto questo, il suggerimento più importante è forse ancora quello con cui Schumann concludeva le sue Regole di vita per il musicista: «Lo studio è senza fine».
Considerando la sua incessante attività, avrà sicuramente molti programmi per il futuro. Può anticiparci qualche iniziativa che vorrebbe realizzare a breve o a lungo termine?
Da qui ad un anno vorrei avere il tempo di seguire personalmente l’incisione di alcuni miei lavori cameristici per varie formazioni; per quanto riguarda invece nuovi progetti potrei intanto dirvi che nella stagione 2008/2009 andrà in scena uno spettacolo di danza nato dalla collaborazione con la coreografa Loredana Parrella, fondatrice ed anima della compagnia Cie Twain. Per tale evento ho realizzato Corpus, il mio ultimo lavoro composto interamente con suoni ottenuti dal e sul corpo; spero che questo sia solo l’inizio di una collaborazione che vorrei diventasse un vero e proprio sodalizio artistico. Entro la fine dell’anno partirà inoltre un nuovo progetto di musica concreta, sul quale non vorrei dire molto, e che prevede la presa in diretta di molti suoni per così dire “metropolitani”; sarò quindi costretto a trascorrere diverse giornate in giro per alcune città, armato di registratore digitale portatile… ne saprete di più entro giugno del 2009...